giovedì 26 luglio 2018

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Armando Ravaglia (1916-2005), mio padre, ha scritto negli ultimi anni della sua vita molte poesie in dialetto romagnolo e ha anche ottenuto riconoscimenti partecipando a concorsi dialettali in Romagna (cfr. articolo del 7 Maggio 1998). Considerava tale attività un semplice passatempo, ma negli anni, documentandosi con cura, consultando dizionari e interpellando persone più esperte, aveva gradualmente acquisito delle reali competenze in materia. A mio parere in certi momenti, pur non considerandosi un poeta, riusciva quasi senza accorgersene a trasmettere con poche parole stati d’animo intensi. Prima di passare a miglior vita io stesso, voglio lasciare in questo blog le poesie di mio padre che mi sono più care. Sono queste:

E’pëtróss u m’lasa

Adio mâma


A n’ t’ smingarò Pietta


Al premi lus ch’al ténz ad rösa e’ zil

Piaza ‘d témp indrì

Nò t’avlir, pëtrós


Maténa ‘d Dizembar

Fred


E vén la stason bòna


Séra ‘d Maz


Nèbia a Maréna


Ca abandunêda


Al dò rös


La lèngva dla mi tëra


Dri a e’ fug


Név


Silénzi

Questa è una fotografia di Armando Ravaglia

Periodicamente mio padre regalava agli amici delle raccolte di poesie con testo in dialetto e testo in italiano:

Pché e ruschéra  (2 volumi, 1980-1986)

Blëc  (1986-1987)

Strufëj  (1987.1988)

Urtig  (1988-1989)

Sgagnul  (1989-1991)

Stèc (1992-1998)

I volumi, almeno fino al penultimo, includevano una prefazione del carissimo amico d’infanzia Alfredo Ghiselli (Dedo) e vari disegni di Mario Lapucci. Le poesie erano soprattutto scherzose prese in giro di amici e conoscenti o critiche relative a vicende politiche o resoconti di fatti che lo avevano colpito. In questo blog ho incluso solo alcune poesie che mi sono care e che desidero restino accessibili e liberamente scaricabili.

Riscrivendo al computer le poesie di mio padre, non ho apportato correzioni, per lasciare i testi come li ho ricevuti. Ho controllato tutto, ma mi scuso per gli errori che possono essermi sfuggiti e per le imperfezioni della trascrizione dei testi dialettali.

Riporto alcuni passi tratti dalla prefazione del prof. Ghiselli al primo volume di Pché e ruschéra.

“Oggi, tutti lo sanno, il dialetto è una lingua in piena regola, capace di illustrarsi ai più alti livelli. (…) Così quel mondo circoscritto in cui affonda la nostra infanzia e prima giovinezza … solo il dialetto è in grado di denominarlo, assieme ai gesti e alle fantasie estrose che “vengono su dal cuore”. Il cuore di Armando, grande così, non ci sta nella lingua, ha bisogno del dialetto, il dialetto che conosce in ogni intonazione, in ogni aspetto espressivo, perché è cresciuto insieme a lui. (…) Eppure … ero lontano mille miglia dal sospetto che nel cuore di Armando albergassero una sensibilità così viva e fine, tanta sconfinata adesione al bello e al buono della vita. E anche alla tristezza e alla malinconia che su molte sue figurazioni stende un’ombra a volte dolorosa e stupefatta, a volte sfumata. E’ così che la sua raccolta di poesie in dialetto romagnolo, intitolata con allegra umiltà Pché e ruschéra (due volumi), è stata una sbalorditiva scoperta”.

Questa è la dedica scritta per il primo volume di Pché e ruschéra:
“Alla mia diletta e amata Ornella, che mi ha colmato l’animo di luce e il cuore di infinita felicità”.
Armando



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